Conosciamo Giuseppe Lo Schiavo giovane fotografo italiano naturalizzato londinese che da diverso tempo si mette in mostra in giro per il mondo…Saatchi Gallery, a Londra, Aperture Foundation, a New York, il MACA (Museo Arte Contemporanea di Acri), la Mixer Gallery di Istanbul, Ingo Seufert Gallery a Monaco, e Burning Giraffe Art Gallery a Torino.
Chiediamo a Giuseppe cosa vuol dire essere fotografo.
Essere fotografo per me è riuscire ad esprimere la propria creatività con un mezzo che riesce a decodificare le tue idee in un linguaggio fruibile da tutti, o quasi.
Per me la macchina fotografica è solo uno strumento di lavoro, mi considero più artista che fotografo, perchè non sono vittima del mezzo fotografico ma lo utilizzo anche fuori dal suo campo di applicazione comunemente riconosciuto, esempi sono le mie serie Levitation, di ispirazione surrealista o ArCurrency dove ho realizzato delle immagini da stampare su reali banconote.
Delle tue opere, apprezziamo molto “Levitation”. Da dove deriva la tua creatività?
Il progetto Levitation è uno dei miei primi lavori pubblicati, è grazie a questa serie fotografica che ho avuto modo di confrontarmi per la prima volta con un pubblico internazionale. Le opere sono ispirate al surrealismo, in particolar modo con riferimenti alle opere di Magritte. All’interno della serie è presente anche un messaggio di salvezza, le architetture sospese, quasi inarrivabili del Partenone, Taj Mahal, Colosseo e così via, sono vaganti su queste rocce e messe in salvo dall’umanità. Un messaggio importante per me per far capire che alcune meraviglie create dall’uomo nel corso della sua storia, non appartengono a nessuno, appartengono solo alla storia di questo pianeta terra.
Un’altro elemento che mi piace sottolineare è che nonostante sembrerebbero opere create interamente in photoshop in realtà l’intervento di postproduzione è minimo. Le rocce (per le quali mi sono ispirato all’ Ayers Rock in Australia dopo un viaggio che ho fatto nel 2010) sono state modellate con un software di modellazione 3d e renderizzate con tecniche di fotorealismo, questo mi ha permesso anche di avere il controllo sulla forma di questi enormi giacimenti sospesi nel cielo.
Ero molto affascinato dal poter realizzare delle opere surrealiste con un mezzo così legato alla realtà come la fotografia, un paradosso comunicativo.
Già da queste mie prime opere si intuisce il mio approccio alla fotografia, un approccio pittorico oserei dire, dove il fotografo non subisce la realtà, come succede spesso, ma ne crea una nuova. Mi considero un inventore piuttosto che uno scopritore.
Abbiamo detto che da diverso tempo lavori all’estero. Qual è la fotografia più bella dell’Italia che ti porti sempre dietro?
Sono tante, porto dietro la fotografia dei tramonti romani, dove il giallo invade tutta la città con il suono delle campane del centro come perfetta colonna sonora del suo splendore, e porto con me l’immagine del blu del mare calabrese, il mio mare, con la colonna sonora delle cicale di agosto. Sembro quasi romantico.
Da quale scuola internazionale ti senti più ispirato nel tuo lavoro?
Sicuramente tutte le avanguardie storiche del 900 sono state molto importanti per me, la pittura è sempre stata una mia fonte di ispirazione, più che la fotografia stessa. Mi piace anche molto l’approccio americano alla fotografia artistica contemporanea, creativo, provocatorio ed ambizioso. In Europa siamo un po’ troppo legati al documentarismo ma ci sono anche ottimi fotografi.
Infine, prima di salutarci. Una buona fotografia è quella che …
Secondo me una buona fotografia deve rispondere a 3 elementi fondamentali che come per l’architettura di Vitruvio sono: Venustas, la bellezza, Utilitas, il messaggio ed infine Firmitas, il modo in cui si presenta al pubblico.
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