
Conosciamo Alessandro Golkar trentenne romano, Assistant Professor ed Associate Director dello Space Center di Skolkovo Institute of Science and Technology (Skoltech), università privata di Mosca, in Russia, fondata nel 2011 in collaborazione con il MIT di Boston. Alessandro, come mai ti sei spinto fino in Russia?
Sono arrivato in Russia dal MIT di Boston, dove ho completato i miei studi di Ph.D. nel Department of Aeronautics and Astronautics. Nel 2012 dovevo scegliere cosa fare dopo gli studi; avevo fatto vari colloqui ed ottenuto diverse offerte di lavoro, sia negli Stati Uniti che in Europa. Negli US però le offerte che avevo erano per posizioni in industrie di alta tecnologia ma non in campo aerospaziale (dove serve la cittadinanza Americana o la Green Card, che non avevo). Avevo accettato una posizione come systems engineer e project manager in un centro spaziale nel Regno Unito, vicino Oxford. Allo stesso tempo il mio advisor dell’epoca a MIT aveva assunto il ruolo di Presidente in questa iniziativa di creare una nuova università di tecnologia a Mosca con l’aiuto del MIT. Fu lui a convincermi a desistere dall’andare in Inghilterra ed invece considerare una avventura a Mosca, in Russia, nell’aiutarlo a creare il centro spaziale dell’università. Mi ha attratto la vocazione imprenditoriale dell’università e l’idea della ricerca applicata per poi risultare in startup tecnologiche. Non ero molto attratto dalla ricerca scientifica fine a sè stessa. E poi, l’opportunità di creare un laboratorio di concurrent engineering da zero, con un finanziamento simile a quello disponibile per centri blasonati in Agenzia Spaziale Europea o in NASA, non capita tutto i giorni. Dopo una visita iniziale a Mosca (non ero mai stato in Russia prima di allora), decisi che sembrava una bella sfida – mi fu fatta una offerta dall’istituto da Assistant Professor, ed accettai. Era il Giugno del 2012 qualche giorno dopo il conseguimento del mio Ph.D.
Nel tuo settore la Russia cosa può offire di più rispetto all’Italia?
Nel nostro settore è forse più appropriato chiedere cosa può offrire il mondo in più rispetto all’Italia, perchè si viaggia continuamente tra vari Paesi. Ad esempio in questo momento ti sto scrivendo dal MIT, proprio a Boston negli Stati Uniti, arrivando da una visita fatta qualche giorno fa a Noordwijk alla Agenzia Spaziale Europea in Olanda. Non mi piace poi generalizzare perchè posso parlare solo della mia esperienza personale. Sono partito da Roma a 23 anni subito dopo la laurea e laurea specialistica alla Sapienza. Questa decisione non è venuta senza sacrifici e momenti difficili dal punto di vista personale e familiare, ma l’aver scelto di viaggiare e stare lontano da casa per periodi talvolta anche molto lunghi mi ha dato tanto. In particolare mi ha offerto l’opportunità di essere a capo di sfide interessanti anche con poca esperienza alle spalle. A 27 anni mi sono stati affidati 80 milioni di rubli (2 milioni e mezzo di dollari dell’epoca) per creare il concurrent engineering laboratory di Skoltech, oltre che un startup package generoso per tre anni, per assumere persone per lavorare con me ed avere soldi per tutto il materiale che ci servisse – oltre ad un anno in visita al MIT in cui ho collaborato con i professori dell’istituto. È andata molto bene ed ora il laboratorio esiste, funziona, e si comincia già a parlare di clienti interessati ad usarlo in progetti internazionali. L’esperienza si è andata formando. Il mio gruppo di ricerca ora consta di 10 ricercatori ed abbiamo ancora fondi e necessità di assumere altri. Due settimane fa mi è stato notificato che abbiamo vinto una proposta da noi formulata assieme a partners Europei industriali ed accademici per il programma di finanziamento della ricerca Europea, Horizon 2020, per un grant totale di 2 milioni e mezzo di Euro. La Commissione Europea ci assegnerà parte di questi fondi pur essendo “Russi”, perchè il nostro contributo è stato considerato essenziale alla riuscita della proposta e non reperibile negli stati membri dell’Unione. Credo, se non sbaglio, che questo sia il secondo grant che arriva alla Russia nella storia di Horizon 2020 (l’altro fu assegnato ad un mio ex collega Russo, sempre a Skoltech). Questo solo per darti due esempi ma potrei dartene altri. Andare all’estero mi ha dato modo di affrontare belle sfide e di fare tanta esperienza che forse in Italia avrebbe richiesto molto più tempo.
Qual è il livello dell’ingegneria italiana rispetto ai modelli internazionali che hai sperimentato in questi anni?
Ho trovato l’università Russa “tradizionale” molto simile a quella Italiana: una ottima preparazione tecnica di base, ma molto teorica. Esiste un bel divario tra il sapere le equazioni che regolano il funzionamento di un sottosistema satellitare, ad esempio, ed il saperlo realizzare (considerando anche che solo raramente si costruisce un qualcosa di così complesso da zero). L’esperienza pratica invece l’ho trovata ed ho avuto la fortuna di assorbire in America, al MIT. Sia in Russia che in Italia manca totalmente in ingegneria (almeno nella mia esperienza – ripeto, non mi piace generalizzare) la preparazione all’
Sicuramente studiare e lavorare all’estero offre molto in termini di condivisione e sviluppo professionale, soprattutto in progetti a più bandiere. Ad ogni modo, quanto incide sulla ricerca italiana la fuga all’estero di giovani eccellenze come la tua?
Non mi piace parlare di fuga di cervelli. L’andare a vivere, studiare, o lavorare all’estero per dei periodi è una esperienza che arricchisce sia professionalmente che personalmente. In questo penso che noi Italiani all’estero, ad esempio, abbiamo una opportunità in più dei ragazzi Americani che magari, ad esempio, scelgono di rimanere nel loro Paese per tutta la loro carriera lavorativa. Abbiamo modo di vedere e fare esperienza di più modelli professionali e di vita, per poi trarne le nostre conclusioni personali. Il problema oggettivo Italiano è semmai, se ve ne è uno, l’incapacità di attrarre un numero significativo di professionisti dall’estero. Recentemente nella cronaca Italiana ho letto di critiche del fatto che il nostro Ministro della Cultura ha nominato 7 Direttori non Italiani alla guida di nostri importanti musei – quindi “rubando” il lavoro a validi professionisti Italiani. Ecco, questa è una visione miope a mio avviso (non dovremmo esserne contenti?) perchè è invece quello a cui dovremmo ambire: carpire eccellenze straniere per farle contribuire alla nostra economia e cultura. Un secondo problema che riscontro (almeno nel mio campo) è la mancanza di opportunità significative – sia per i giovani che i meno giovani – e le poche che ci sono, sono spesso predestinate a fortunati eletti. Purtroppo in alcuni casi in Italia bisogna vincere la lotteria del Papà alla nascita per aver modo di crescere professionalmente. Questo dispiace.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Vorrei proseguire la mia attività di ricerca in ambito spaziale per traslarla poi in sviluppi imprenditoriali. Sono alle prese con la creazione e lo studio di qualcosa di veramente innovativo, l’idea di “federated satellite systems”, che sostanzialmente mira a creare un mercato di risorse commerciali di servizi satellitari in orbita – un cloud computing spaziale. Oltre alla attività di ricerca attualmente sto lanciando una startup “spaziale” con cui spero di realizzare alcuni progetti a me cari. Mi piacerebbe in futuro potermi definire un “serial entrepreneur” come il mio ex-advisor del MIT, che di startup di successo ne ha lanciate 5 – diciamo che ho cominciato a lavorarci su! Progetti in Italia? Anche ma non solo. Adoro il mio Paese e penso che la sua eccellenza si valorizzi al meglio quando è proiettata in un ambito globale. Mi piacerebbe comprare casa in Italia un giorno, a Roma, e spenderci più tempo possibile con la mia famiglia. Il giorno che avrò dei figli vorrei che si sentissero cittadini del mondo, ma con forti radici Italiane (e perchè no, romane!) da portare con sè nel loro cammino personale. D’altronde io stesso sono cresciuto a Roma con mamma Italiana e papà Iraniano (cittadino Italiano da più di 30 anni), e penso che la multiculturalità sia un importante arricchimento dello spirito di una persona.
Un buon lavoro di systems engineering è quello che…
Un buon lavoro di systems engineering è quello che interpreta correttamente le esigenze degli stakeholders, formulandole in requisiti precisi, quantificabili e non ambigui, tradotti poi in una architettura di sistema funzionale e formale che risponda a dette esigenze in termini di performance, costi, tempi, e rischi. In ultimo, fornendo al Cliente una soluzione tecnologica che risponda a sui bisogni per quanto complessi, onerosi, o sviluppati nell’arco di decenni, come nel caso delle Grandi Infrastrutture ingegneristiche… anche spaziali!